Si può vivere lassù?

In questa stagione, approfittando della mancanza di neve, si può andare in giro lungo sentieri di mezza quota, raggiungendo case e villaggi abbandonati e “dimenticati” da tempo. Non fa troppo caldo e, soprattutto, non ci sono troppe foglie e vegetazione che potrebbero rendere più difficile il nostro cammino.

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Antico sentiero lastricato tra Verres e Challand (AO)

Quando percorro questi sentieri penso sempre a quando erano di uso quasi quotidiano, quando tutto quello che arrivava o partiva da quei villaggi passava di lì. Penso ai carichi sulla schiena di persone o bestie da soma. Penso a quando quei terreni circostanti erano tutti puliti, coltivati.

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Taverne, Nus (AO)

Infatti i terrazzamenti in questa stagione riemergono anche dietro a cespugli e alberi cresciuti man mano che l’uomo ha smesso di faticare su di qui. Si creavano muri e si spostava terra per ricavare più spazi dove coltivare. Bisognava essere praticamente autosufficienti e di gente ce n’era tanta, anche a quelle quote, quindi ogni fazzoletto utilizzabile poteva fare la differenza per la sopravvivenza di uomini e animali.

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La Nache – Verrès (AO)

Ogni tanto, in questi giri, capita di trovare uno di quei posti che ti farebbe venir voglia di trasferirti lì. Requisiti: isolamento, ben esposto al sole, prati e boschi, bel panorama. L’isolamento è una condizione fondamentale, per quel che mi riguarda, per poter stare in pace, pascolare con gli animali senza dover attraversare strade, senza aver paura che un’auto piombi a tutta velocità su una capra attardata o sul cane che scatta in avanti. Ma anche per non avere nessuno che si lamenta per l’odore, le mosche, le deiezioni, il cane che abbaia al mattino presto, la capra che strappa una foglia o un petalo da una siepe.

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Godersi il sole dopo il pascolo – Petit Fenis, Nus (AO)

Sì, certo, certi posti sarebbero l’ideale per vivere con le capre… ma che vita? Una vita che prevede un isolamento quasi totale. Bisognerebbe avere alle spalle ciò che serve per vivere e per pagare tutte le spese del “mondo moderno” che ci inseguirebbero anche lassù. Perché è vero che si potrebbe raggiungere quasi totale autosufficienza alimentare (con anche un orto, piante da frutta), ma spese ce ne sarebbero comunque, e quali sarebbero le fonti di guadagno?

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Antico sentiero scendendo da Grand Bruson – St.Denis (AO)

Poi solo con i sentieri e senza strade, la vita non è facile. In un giorno di sole, con lo zainetto leggero, durante una gita, è un conto… ma se lassù ci devi vivere? Chi potrebbe vivere in questi luoghi che sono stati abbandonati decine e decine di anni fa? Forse un giovane ha più forze e più intraprendenza per farlo, ma… come già scritto altre volte, cosa succede quando arrivano dei bambini?

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Un “eremita” in una casa contro la roccia a monte di Donnas (AO)

Capita di incontrare personaggi che questa scelta l’hanno fatta. Uno di loro l’abbiamo casualmente trovato durante un’escursione a monte di Donnas. Raggiungere la sua casa da sotto non è facilissimo, c’è anche un tratto con scalini in ferro sulla roccia e una corda fissa di sicurezza, però dall’alto in 5-10 minuti dalla strada asfaltata di scende a questa casetta addossata alla roccia e ai suoi terrazzamenti in parte ripuliti. L’uomo che abbiamo incontrato là deve aver avuto una vita avventurosa, da quel che ci ha raccontato. Aveva una gran voglia di chiacchierare e ci aveva adocchiati quando eravamo ancora molto in basso. Originario di Bionaz, ha vissuto e lavorato anche in Francia (in un allevamento di capre), ora si è trasferito in quella che ha definito la Riviera della Valle d’Aosta. In seguito abbiamo però scoperto che la sua età è più avanzata di quella che dimostra e che questa non è la sua abitazione fissa.

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Resto di una predazione su animale selvatico – St. Denis (AO)

Oggi tanti di quei luoghi sono diventati “posti da lupi”, abitati solo più dai selvatici e, talvolta, attraversati da qualche escursionista che, come noi, non ama la folla, le località del turismo di massa, le stazioni sciistiche e gli sport estremi. Sicuramente i predatori sono stati favoriti, nella loro espansione, da tutto questo abbandono nelle vallate e sulle aree collinari più disagiate. Se uno pensa di “tornare” in luoghi del genere e avere degli animali, deve mettere in conto anche questo problema e tutte le strategie per cercare di difendere il bestiame.

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Ecco un altro sentiero che si inerpica sui ripidi fianchi della montagna, attraversando boschi scoscesi, sassosi, pareti a strapiombo, versanti aridi e, in questa stagione, particolarmente desolati, anche se non privi di un certo fascino. Ancora una volta, pensate alla fatica di chi ha tracciato questi sentieri… Questo è quello che, attraversata la Dora al Borgo di Montjovet, sale verso il villaggio abbandonato di Rodoz.

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Uno dei castagni secolari a Rodoz, Montjovet (AO)

Non è un cammino breve e più volte, durante la salita, ci si interroga dove (e perché) possa esserci un villaggio su di là. Ad un certo punto però il bosco cambia e, pur nell’abbandono totale, mostra qualche segno dell’uomo: un terrazzamento, una sorgente e una vasca scavata per l’acqua, degli enormi castagni da frutto secolari.

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Il villaggio abbandonato di Rodoz, Montjovet (AO)

Il villaggio è poco più a monte, sopra ad una sorta di terrazzo che un tempo era stato ripulito per ottenere prati, pascoli, campi, ma che oggi si sta richiudendo con l’avanzata di cespugli e giovani alberi. Non erano solo due case, ma un vero e proprio villaggio, con il forno e una piccola chiesa. Oggi l’abbandono è pressoché totale, i tetti stanno crollando, cedono i muri, collassano le volte delle stalle.

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Una stalla ancora in buone condizioni, Rodoz – Montjovet (AO)

Ogni casa aveva la sua stalla, non si poteva sopravvivere quassù senza animali. Oggi qualcuno potrebbe sognare di tornare, ma… qual era davvero la vita di chi abitava qui? Quali fatiche, quali patimenti? C’era sempre di che sfamarsi a volontà, o si pativa anche la fame, dopo una giornata di duro lavoro?

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Ancora una veduta di Rodoz, Montjovet (AO)

Il sole tramonta presto, d’inverno, quassù. Certo, ci sono interi paesi dove, d’inverno, il sole non arriva mai per mesi, quindi questa potrebbe essere considerata una collocazione privilegiata. Oltre al ripido sentiero che abbiamo percorso noi, quassù si può arrivare anche da un altro sentiero che corre pressoché in quota. Mi dicono che Rodoz è stato abitato fin verso gli anni ’50, se qualcuno avesse altre notizie da raccontare su questo villaggio, su altri luoghi simili, o anche “storie di ritorno”, sarò felice di ascoltarle.

7 Replies to “Si può vivere lassù?”

  1. E’ sempre un piacere leggerti e lasciarsi trasportare dalla fantasia, immaginando di poter vivere nei luoghi che tu descrivi così bene. Giustamente ti poni delle domande serie sulla fattibilità di ritornare a vivere nelle borgate alpine, che non sono servite da una strada carrozzabile. Se mi immagino lassù oggi, a sessantaquattro anni, con le articolazioni mal ridotte e il respiro affannoso di un vecchio sovrappeso, mi “immagino” davvero male! Dall’altro canto osservare il decadimento di baite e alpeggi abbandonati, per chi ama la montagna come noi, fa tristezza e, per un certo verso, si prova una sensazione di sconfitta. Dovrebbe intervenire lo Stato per recuperare il recuperabile? A scopo turistico? A salvaguardia degli alpeggi cha ancora si potrebbero utilizzare? Non conosco le risposte, ma forse è bello anche vedere come la natura e il tempo si riprenda quello che è “suo”… e per coloro che ora camminano su quei sentieri da escursionisti, non rimane altro che trarne benefici ed energia dallo spettacolo della natura e del lavoro degli uomini e delle donne che con i loro figli, un tempo, vivevano e lottavano con fatica su quei pendii.

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    1. concordo con te… ho visto villaggi abbandonati “recuperati” per farne delle specie di villaggi vacanze di lusso… tranne in un caso, tutti gli altri mi sembravano ben più freddi e disabitati di quelli in cui le pietre stanno “tornando” alla montagna da cui erano state raccolte…

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  2. Un articolo che mi fa riflettere visto che ho il pensiero costante di voler vivere in quel modo. Forse più difficoltoso, ma più a misura d’uomo. Insomma pensiamo alla difficoltà del vivere in città, sono altre difficoltà, ma più semplici e genuine

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  3. Ho letto il tuo articolo e anche i commenti della pagina FB, la tua analisi è sincera e realistica.
    Difficile anche secondo me tornare a vivere in montagna stabilmente. Mediamente una volta la settimana scarpino per le Orobie ecc., spesso in villaggi abbandonati incontro gente. Una composizione umana che vede assenti i 35/60enni, ovvero o incontri giovani di ritorno alla vita montanara o incontri neo pensionati e vecchi.
    Ricordo una signora 93enne che lo scorso anno, dalle parti di Ardesio, ci salutava festante dal balcone di casa in un villaggio dove c’era solo lei e il figlio 70enne. Si molto bello, ma se uno dei due sta male o si fa male?
    Anni fa espressi un’idea ad un amico medico in RSA in merito ad un potenziale utilizzo di piccoli borghi montani come una forma di Residenza Sanitaria Diffusa, un’idea matta, ma sai che forse ne realizzano una qui in Lombardia con il patrocinio della Fondazione Cariplo?
    Insomma tutto si muove.

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    1. infatti… lo stesso ragionamento lo facevamo noi: “sarebbe bello venire quassù”, ma poi gli anni passano e… che fai se hai problemi di salute? allora è adatto ai giovani. sì, ma quando nascono bambini e poi devono andare a scuola?? grazie per il link

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