Alcuni appuntamenti vicini e lontani

Qui su queste pagine ormai ci vediamo poco, ma nelle prossime settimane/mesi ci saranno occasioni per incontrarci dal vivo anche in regioni e luoghi dove non sono mai stata prima.

Il primo appuntamento è in provincia di Bergamo a Presezzo, dove il 21 marzo prossimo parlerò con Anna Carissoni e con il pubblico di pastorizia, alpeggi e montagna nell’ambito della rassegna “Tierra! Nuove rotte per un mondo più umano”. Ore 21:00, presso l’Auditorium Comunale di Via Montessori 11. Qui il programma dettagliato dell’evento.

Per il giorno di Pasquetta (1 aprile 2024) sono stata invitata nelle Langhe, più precisamente a San Benedetto Belbo (CN) per l’inaugurazione della fattoria didattica dell’amico allevatore e apicultore Ivo Boggione. Alle ore 10:00, nel salone polifunzionale, ci sarà modo di dialogare e confrontarsi con altri esperti sul temi dell’agroecologia, apicoltura, pastorizia e paesaggio rurale.

Nel mese di maggio andrò molto più lontano, in una terra dove non sono mai stata… Sarò infatti ospite in Sicilia, a Petralia Soprana (PA) del Festival della Pastorizia, dell’erranza e del ritorno nelle Madonie, festival che prende il nome proprio da una delle mie prime opere letterarie, “Dove vai pastore?”.

Sabato 11 maggio parteciperò al convegno e, alle ore 18:00, vi sarà anche la presentazione de “L’ora del pastore” dialogandone con il professor Luca Battaglini dell’Università di Torino. Qui potete vedere nel dettaglio il programma della manifestazione e anche sulla Scuola per pastori che verrà organizzata proprio da quelle parti.

Oltre al piacere di poter scoprire il luogo che mi ospiterà, non nascondo che la prospettiva di incontrare chi frequenterà questa scuola mi incuriosisce non poco: parlare con loro, capire qual è la loro storia e il perché di questa scelta, quali sono le loro aspettative e prospettive per il futuro. Vi racconterò al mio ritorno…

Se la montagna è viva

Non so se sia solo una mia impressione, ma da qualche anno a questa parte di sta parlando sempre più di una montagna “turistica” che non è soltanto quella delle vette o dello sci. Da una parte c’è il cambiamento climatico che d’estate spinge a cercare mete meno torride delle città, ma fa anche sì che d’inverno manchi la neve, che quella caduta si sciolga rapidamente o che, per le temperature troppo elevate, non si riesca nemmeno a crearla artificialmente. Dall’altra c’è stata la pandemia che ha portato molte più persone in montagna, alla ricerca di luoghi meno affollati e aria più pura (anche se, alla fine, molti si riversavano sulle stesse mete, quelle più conosciute, finendo per formare a 2000 e più metri quegli assembramenti che dovevano essere evitati a tutti i costi!).

Turismo “di massa” in montagna (foto dal web)

Così ora si cerca di studiare e trovare soluzioni per questa “montagna a portata di turista medio”, che non vuole scalare gli 8000, ma vuole comunque divertirsi, “fare attività”: bisogna creargli qualcosa, ma non si parla solo di luoghi dove mangiare e dormire, bisogna dargli mete, obiettivi, bisogna occuparli in qualche modo, perché altrimenti si annoiano, non si divertono, non sanno cosa fare. Per carità, so bene di non rappresentare il “turista tipo”, so che il turista è una gallina dalle uova d’oro se spende molto nel luogo in cui trascorre le sue vacanze, il suo tempo libero. Per spendere però deve trovare qualcosa di concreto, laddove si recherà: luoghi attrezzati da visitare, attività sportive con guide, accompagnatori, maestri, prodotti da acquistare, locali che servano o vendano cibo, ecc. Io, economicamente parlando, valgo ben poco. Cerco di proposito località poco frequentate, il più possibile “selvatiche”, acquisto al massimo del formaggio, un gelato artigianale sulla via del ritorno e mi tengo ben lontana da quei luoghi dove invece accorrono i “turisti normali”, a cercare spesso qualcosa di diverso dal panorama e dalla fatica appagante di una gita zaino in spalla.

Un villaggio completamente ristrutturato e destinato a uso esclusivamente turistico in alta Valle d’Aosta

Penso però che, alla base di un buon territorio turistico di montagna, ci debbano innanzitutto essere delle attività stabili sul territorio che esistano a prescindere dal fatto che ci siano o meno dei turisti. Prendete un villaggio di montagna, anche ben ristrutturato, ma trasformato in alloggi, camere da affittare, B&B, però completamente disabitato fuori stagione. Prendete invece un pugno di case magari un po’ disordinate, con i giardini non così perfetti, senza quei tocchi di artigianato montano più shabby-chic che tradizionale, dove però c’è gente che ci vive e ci lavora, aziende agricole, stalle, piccoli artigiani del legno e altro ancora. Attorno al villaggio per turisti è silenzio, ronzano solo i decespugliatori e i tagliasiepe quando si avvicina la stagione, negli altri si sentono voci, bambini che giocano, il canto di un gallo, le campanelle, i muggiti, i belati.

Un’azienda agricola in un villaggio nella Valle del Lys (AO)
Nei pressi della casa di un artigiano del legno in un villaggio della Valle d’Aosta

E’ vero, sono di parte. E’ vero, sono un po’ strana, perché io addirittura volutamente mi inerpico per sentiero poco battuti per raggiungere villaggi fantasma dalle porte sprangate, dove dalle finestre spesso escono i rami di un albero, case le cui mura parlano attraverso piccoli segni, date incise, oggetti di uso quotidiano posati qua e là.

Lungo antichi sentieri alla scoperta di villaggi abbandonati – Perloz (AO)
Gruppo di escursionisti transitano su un sentiero dove un pastore sta pascolando le sue capre – Perloz (AO)

Senza arrivare a tanto, non siete dell’idea che sia piacevole incontrare la gente del posto, intenta nelle sue normali attività quotidiane, lungo il percorso della nostra escursione? Altro che la panchina gigante o la finta cornice per individuare il posto giusto (curato e “pettinato”) per scattare il selfie!

“Cornice” per non sbagliare lo scatto in una nota località turistica (foto dal web)

Non so cosa pensare quando, mentre pascolo le capre non lontano dalla mulattiera che passa dietro la stalla e attraversa parte dei prati che abbiamo in affitto, passano degli escursionisti, ciclisti in MTB, gente che corre, passano e non salutano, non mi guardano nemmeno. La loro è paura? Diffidenza? Totale disinteresse? Talvolta qua e là capitano “incidenti” con turisti con cani (liberi), altrimenti l’incontro con un pastore che sorveglia degli animali al pascolo può essere un piacevole momento di arricchimento reciproco.

Al pascolo non lontano dal sentiero che scende verso Nus (AO)

Nei primi giorni dell’anno, tra Capodanno e l’Epifania, ci siamo studiati a vicenda per alcuni istanti con alcuni escursionisti. Io stavo portando le capre verso il punto in cui si abbeverano e il sentiero passa pochi metri più in là. Ho guardato che non avessero cani, per evitare il problema principale. Le capre continuavano ad avanzare verso l’acqua, loro invece esitavano a scendere. Timore nei confronti dei miei cani? C’è anche chi ha paura delle capre, non conoscendo il loro comportamento. Oppure avevano voglia di vederle da vicino? Quando ho visto che la donna prendeva il cellulare per fare le foto, ho lasciato che le capre si avvicinassero e il risultato finale è stato non solo una serie di scatti con primi piani caprini, ma anche una piacevole chiacchierata che ha dato quel qualcosa in più alla giornata mia… e loro, immagino! Infatti mi hanno chiesto di soddisfare varie loro curiosità sulle capre, sulla loro gestione, su cosa volesse dire vivere e lavorare in montagna con gli animali. Insomma, quelle domande che può fare un turista che è davvero interessato al luogo che sta visitando.

Al pascolo vicino al villaggio – Petit Fenis, Nus (AO)

Piccole cose… ma secondo me, sempre di più, dobbiamo imparare ad apprezzare ciò che c’è, senza dover per forza aggiungere, cercare oltre. Perché il turista che capisce queste cose sarà quello che cercherà il prodotto locale, andrà a mangiare nell’agriturismo, sarà quello che rispetterà ancora di più il territorio in tutti i suoi aspetti.

Ciau, Pinoulin

Oggi ho appreso una triste notizia, ci ha lasciati Giuseppe Pinoulin Ghibaudo, uno degli ultimi pastori di Roaschia. Aveva praticato la pastorizia fino al 1997, io l’avevo incontrato la prima volta poco meno di vent’anni fa (nel 2004 o 2005, quando stavo cercando materiale per “Dove vai pastore?”), all’epoca era assessore nel suo comune. Mi aveva raccontato la storia dei pastori di Roaschia, di come dire “ruascin” fosse sinonimo di pastore nomade.

Giuseppe alla Fiera dei Santi di Vinadio (CN) nel 2011

Ci eravamo poi visti molte altre volte, sia alla fiera di Roaschia, sia a quella dei Santi di Vinadio (CN), era sempre un piacere scambiare quattro chiacchiere con lui parlare di pecore e di pastori, di ieri e di oggi. Poi i casi della vita mi hanno portata in Valle d’Aosta e non ho più avuto tempo e modo di andare a quelle fiere, l’ultima volta ci siamo incontrati nel 2017. Però lui, fin quando la salute gliel’ha permesso, mi telefonava sempre per farmi gli auguri, a Pasqua e a Natale. Mi chiedeva delle capre, mi rimproverava bonariamente di aver lasciato le pecore per “quelle bestiacce” e di aver abbandonato il Piemonte, mi chiedeva di tornare ancora una volta alla fiera di Roaschia. Negli ultimi anni erano proprio solo più poche parole sussurrate, “Sono Giuseppe da Roaschia, ciau…“.

In tenuta “da pastore” nel 2017 per il passaggio del gregge di Aldo e Marilena a Roaschia (CN)

Voglio ricordarlo alla fiera nel maggio 2017, quando aveva ancora voluto vestirsi “da pastore”, con lo zaino e l’ombrello, per accompagnare almeno per un breve tratto nel paese il passaggio del gregge.

Intervistato dal Sindaco Bruno Viale in occasione della Fiera, Roaschia (CN) 2017

Sono impresse nella mia mente le sue parole di quando mi raccontava come conoscesse il territorio grazie al cammino insieme al gregge. “Anche adesso, quando mi devo spostare, io faccio tutte le strade secondarie, quelle che facevamo con le pecore.

Le pecore del gregge dei fratelli Ghibaudo nei pioppeti lungo il fiume Po in una foto d’epoca

Mi aveva raccontato della scuola estiva per i figli dei pastori a Roaschia, di come lui, suo fratello e tanti altri fossero nati tra l’Astigiano, l’Alessandrino, la Lomellina. Lui era nato per l’appunto in provincia di Pavia, seguendo il gregge. “Io sono nato il 18 maggio, due giorni dopo i miei si sono messi in viaggio, era già tardi, il mio padrino aveva regalato una culla e mi avevano messo lì, sul cartun (il tradizionale carro con cui si spostavano i pastori). Diciassette giorni dopo che ero nato, siamo arrivati qui a Roaschia. Con i bambini piccoli, bisognava far asciugare i panni bagnati, allora li si metteva sotto il lenzuolo e gli adulti dormivano sopra, così, con il calore del corpo, li asciugavano. Che vita, eh?

Con un bell’esemplare di ariete di razza roaschina – foto d’epoca dell’archivio della famiglia Ghibaudo

Mai una festa, sempre dietro alle pecore, tutto l’anno, ogni ora. Ho celebrato il Natale, la Pasqua e il Capodanno per la prima volta quando ho venduto il gregge. Le bestie vengono sempre prima dei bisogni del pastore. Lui può saltare un pasto, le pecore invece devono essere sazie.” (brani della testimonianza di Giuseppe Ghibaudo in “Dove vai pastore?”, Priuli&Verlucca Ed.)

Giuseppe Ghibaudo intento alla caseificazione in una foto d’epoca

Non so se ci siano ancora altri “vecchi” pastori di Roaschia, lui era uno degli ultimi. Un pezzo di storia della pastorizia che non c’è più. Ciau, Pinoulin. Le capre stanno bene, le pascolo tutti i giorni, la neve è arrivata ed è andata via. Anche i pastori giù in pianura hanno erba quest’inverno, il clima è cambiato da quando facevi il pastore tu, non c’è più bisogno di trovare una cascina per l’inverno… anche la pastorizia è molto cambiata, ci sono sempre i pastori vaganti, ma nessuno fa più la ricotta all’aria aperta, nel paiolo, vicino al cartun, come facevate voi…

Vademecum per automobilisti che incontrano una mandria o un gregge lungo la strada

Non vedo l’ora che finisca la stagione di pascolo per le nostre vacche, anche se toccherà comunque attraversare la strada con le capre per tutti i mesi a venire. Ma perché, persino quassù, a 1000m di quota, lungo una strada relativamente poco trafficata (specie se paragonata ad altre realtà!), bisogna aver paura e rischiare di essere investiti ogni qualvolta si mettono i piedi sull’asfalto con gli animali per portarli al pascolo?

Sembrava l’ultimo giorno di pascolo… ma poi le temperature sono tornate a essere anche troppo calde – Petit Fenis, Nus (AO)
Discesa di una mandria dall’alpeggio – Vallone di Saint Barthélemy, Nus (AO)

Credo di averne già parlato innumerevoli volte, ma voglio riproporre l’argomento sotto forma di breve elenco di norme comportamentali da seguire quando ci si trova in questa situazione: l’incontro con degli animali domestici (vacche, pecore, capre…) che vengono spostati percorrendo una strada asfaltata, o per una transumanza, o per raggiungere i pascoli. Sembrerebbe superfluo, ciò che sto per dire, ma per esperienza diretta occorre sottolineare che non si tratta di qualcosa che gli allevatori fanno “per divertimento”, ma di un momento lavorativo. Non stanno “portando a spasso” gli animali, ma stanno svolgendo un’attività che può durare più o meno a lungo a seconda delle necessità e delle circostanze e che non può essere rimandata o anticipata/posticipata ad altri orari, esattamente come qualsiasi altro lavoro.

Inevitabile coda alle spalle del gregge durante la transumanza di discesa dall’alpeggio – Valle di Champorcher (AO)

Perché non avanzate anche quando un operaio di un cantiere stradale vi mostra la paletta rossa? Per sicurezza vostra, degli operatori e degli altri automobilisti. Giusto? Ciò detto…

Transumanza autunnale – Petit Fenis, Nus (AO)
  • Se gli animali avanzano in direzione opposta alla vostra, il “disagio” durerà qualche minuto, quindi potete anche godervi lo spettacolo, sorridere e salutare gli allevatori, con i loro eventuali aiutanti (fa bene a loro e anche a voi!)
  • Se trovate gli animali in marcia nella stessa vostra direzione, vi toccherà aspettare più a lungo. Se si tratta di una transumanza, gli allevatori avranno cura di agevolare il vostro passaggio non appena ciò potrà avvenire in sicurezza per voi e per gli animali. Se sono semplicemente diretti verso il pascolo, il percorso sarà più breve.
Attraversando la strada davanti a casa al ritorno dal pascolo – Petit Fenis, Nus (AO)

Ma quali sono le norme da seguire, indipendentemente dalla durata del tragitto degli animali? C’è chi pare non riuscire a tollerare nemmeno un semplice attraversamento della sede stradale da parte di una manciata di capre, purtroppo…

Un’auto ha volutamente cercato di superare gli animali, passando tra di loro, durante una transumanza autunnale – Vallone di Saint Barthélemy, Nus (AO)
  1. Rispettare le indicazioni di chi accompagna il bestiame. Fermatevi quando e dove ve lo dicono, non cercate assolutamente di avanzare in mezzo agli animali, rimanete fermi fino alla fine del loro passaggio.
  2. Accostate o in uno spiazzo (se c’è), o il più possibile rasente a muri, guard-rail, ecc, di modo che gli animali non possano passare tra la vostra auto e qualsiasi altro ostacolo fisso, perché potrebbero danneggiarla, graffiarla…
  3. I più “intelligenti” dovreste essere voi: cani, agnelli, vitelli, ma anche gli animali di taglia più grossa non vedono nella vostra auto in movimento un pericolo, quindi non si fermano/scansano anche se voi continuate ad avanzare senza rallentare, addirittura potrebbero spostarsi in quella che, fino a un istante prima, era una porzione di carreggiata apparentemente libera, che voi volevate percorrere senza fermarvi.
  4. Anche se vi viene fatto segno di passare perché gli allevatori stanno cercando di contenere il bestiame liberando una corsia, vale sempre la regola n.3, quindi prestate la massima attenzione durante il transito.
  5. Rallentate SEMPRE quando vedete degli animali, anche solo a lato della strada, pronti ad avviarsi oppure al pascolo senza fili e recinti. Uno potrebbe salire sulla strada all’improvviso, sempre perché si tratta di animali e non di persone che vedono nella strada e nei mezzi che la percorrono un pericolo.
Il gregge in salita verso l’alpeggio è stato fatto uscire dalla strada in un punto dove era possibile farlo per favorire il transito delle auto – Valsavarenche (AO)

Queste indicazioni servono a evitare che il vostro mezzo venga danneggiato oltre che, ovviamente, a tutelare l’incolumità di tutti gli animali, in modo particolare i cani, che, nello svolgimento della loro attività per spronare o contenere gli animali si muovono molto rapidamente e in modo imprevedibile, rischiando più di ogni altro di essere investiti.

Sosta durante una désarpa autunnale – Petit Fenis, Nus (AO)

Grazie a tutti per la comprensione e per la lettura. Vi invito a far circolare questo “vademecum” che sarà valido per le ultime giornate di pascolo autunnale di quest’anno, per tutte le greggi e mandrie vaganti che incontrerete in inverno, fino alle future transumanze del prossimo anno.

Transumanza nella Valle di Champorcher (AO)

Ancora appuntamenti

Poco tempo per aggiornare queste pagine o, più in generale, per scrivere. Vi segnalo però due appuntamenti durante i quali potremo incontrarci. Nonostante sia passato ormai più di un anno dalla sua pubblicazione, “L’ora del pastore” prosegue il suo cammino, lento come quello di un gregge alle prese con il pascolo vagante, ma altrettanto ricco di emozioni e soddisfazioni.

Il 14 novembre sarò a Hone (AO), ore 20:45, presso la sala polivalente di via Chanoux 89. La serata sarà accompagnata da una proiezione di immagini.

Mancava ancora una presentazione nella vera e propria terra dei pastori, nel Biellese… Non è stato facile organizzare, ma un amico si è dato molto da fare per far sì che ci potesse essere una serata… appuntamento per il 24 novembre, ore 21:00, a Ponderano (BI), presso l’Oratorio San Lorenzo.

Ci si vede qua e là tra Piemonte e Valle d’Aosta

Un rapido post per aggiornarvi su vari momenti di incontro con il pubblico che si terranno nelle prossime settimane. Primo in ordine di tempo, questa domenica 22 ottobre 2023, ore 14:30, qui a Petit Fenis – Nus (AO), dove, in occasione della manifestazione “An pomma pe an sei” Scambio semi e mercato contadino, racconterò a chi avrà voglia di ascoltare qualcosa sulla biodiversità… a partire da quando mi occupavo di biodiversità frutticola, fino ad arrivare a quella dei pascoli e dei loro abitanti!

Ci spostiamo poi a Novara… Scendo in città per uno degli eventi organizzati per il centenario della sede CAI locale. In occasione dei giovedì della montagna, l’appuntamento del prossimo 26 ottobre 2023 mi vedrà protagonista de “La montagna narrata”. Ore 18-19:30 presso la sala conferenze “Vittorio Minola” di via Bascapé 12.

Il giorno successivo, 27 ottobre 2023, sarò invece a Chiusa di Pesio in provincia di Cuneo, presso L’ Ecomuseo di Borgata Fiolera” “La ViJà” di un tempo con libri, tisane e biscotti”. Ore 20:30, presentazione degli autori Marzia Verona e Cinzia Dutto e introduzione ai libri e alle mostra fotografiche di Federico Bronzin e Maurizio Zarpellon. Modera Fabrizio Biolè. Qui potete leggere l’intero programma della manifestazione “Parole dalla Terre Alte”.

Stiamo anche organizzando una presentazione de “L’ora del pastore” con la Biblioteca di Hone, dovrebbe essere il prossimo 14 novembre, ore 20:45, seguiranno aggiornamenti. Invece è ANNULLATO l’evento in programma per inizio novembre a Dronero nell’ambito della manifestazione “Ponte del dialogo” a causa di problemi organizzativi.

C’è transumanza e transumanza

Da qualche giorno sto cercando di ricordare qual è stata la mia prima transumanza. Ho cercato di ricostruirlo attraverso gli archivi fotografici digitali, ma arrivano solo al 2005, prima scattavo foto “normali” e diapositive, ma quelle non le ho qui con me. Poi però sono riuscita a trovare una conferma ai miei pensieri andando a prendere la copia di “Dove vai pastore?”. La mia prima transumanza risale a 19 anni fa, era il 18 novembre 2004 e mi trovavo in Val Chisone al seguito del gregge di Fulvio. “Così, sei mesi e dieci giorni dopo essere salito, Fulvio riconduce a valle il gregge. Si parte da Villaretto, al mattino lui era già andato a vedere l’erba, a prendere contatto con i proprietari dei prati, ma ha anche portato il libretto di pascolo vagante nei Comuni, per farsi mettere tutti i timbri necessari.” Con queste parole iniziavo a raccontare quella giornata, in cui venni anche coinvolta in prima persona fin dal principio, inizialmente fermare il traffico e agevolare la partenza del gregge, in seguito per spostare le auto. Già quella prima volta capii come le transumanze fossero un momento difficile, delicato, in cui potevano facilmente verificarsi imprevisti e incidenti di vario tipo (andatevi a rileggere la “cronaca” di quel giorno, tra automobilisti “nervosi” e greggi che si “mischiavano”).

La partenza della prima transumanza a cui partecipai nel 2004 – Val Chisone (TO)

Ne seguirono innumerevoli altre da spettatrice/fotografa/testimone narrante, sia con greggi, sia con mandrie. Transumanze motorizzate fino a un certo punto, poi a piedi. Transumanze interamente a piedi. Transumanze primaverili e autunnali. Transumanze notturne o sotto il sole cocente, transumanze gioiose, transumanze tristi e difficili. Suoni e silenzi con significati diversi durante quelle giornate. Transumanze “eccessive” e transumanze quiete. Infine anche feste della transumanza, giornate speciali organizzate a fini turistici.

La mia prima transumanza “verso i monti” nel 2005 – Valli di Lanzo (TO)

La prima “festa della transumanza” ricordo bene quale fu: ero ad Asiago per un convegno sulle transumanze, per l’appunto, e dovevo presentare il mio progetto di lavoro al seguito dei pastori vaganti. Fu proprio grazie a quel convegno che trovai il contatto giusto che mi aiutò nella pubblicazione di “Dove vai pastore?” con Priuli&Verlucca. Prima del convegno però assistemmo alla festa, non ricordo i dettagli esatti, purtroppo non ho delle immagini, ma mi aveva molto colpito il fatto che chi accompagnava le vacche fosse a cavallo in stile vagamente western. Non mi aveva lasciato una bella impressione, l’avevo trovato un po’ un “carnevale” con poca attinenza con il reale mondo agricolo, anche se gli altri spettatori sembravano esserne entusiasti.

Devétéya a Cogne (AO)

Ho deciso di scrivere questo post mettendo insieme tanti pensieri e ragionamenti dopo che, qualche giorno fa, ho sentito un’amica che era scesa dall’alpeggio. “Per fortuna non fanno più quella festa là, non abbiamo più quel vincolo. Possiamo scendere facendo le cose con più calma, non c’è l’orario da rispettare per essere nel paese a quella determinata ora. Con questo caldo, poi…” Già, perché le “feste della transumanza” non sono una cosa così semplice da organizzare e predisporre nei dettagli. Ce ne sono che coinvolgono un unico gregge/mandria, altre che invece mettono insieme la discesa di tanti diversi allevatori che transitano nello stesso comune di fondovalle, garantendo così un’attrazione maggiore per il pubblico. In un’altra telefonata, una persona mi parlava di una recente Désarpa tenutasi in Valle d’Aosta definendola “finta”, mentre un’altra, in un diverso Comune, l’aveva trovata molto più genuina.

La Dézarpa di Valtournenche (AO)

Come dicevo, di transumanze ne ho viste tante e anche di feste dedicate alla transumanza, alcune anche oltreconfine (Francia). Queste ultime sono sicuramente una buona occasione per venire a contatto con altri mondi zootecnici senza avere delle conoscenze in loco: si sa che c’è quella manifestazione e si va a vederla, altrimenti solo per qualche caso fortunatissimo ci si trova al posto giusto nel momento giusto, proprio durante una discesa o una salita all’alpe. Ne ho però viste troppo poche per esprimere un giudizio e confrontarle con quelle a cui ho partecipato in Italia, ricordo però con molto entusiasmo la prima che vidi a Die, con tutto il suo corollario di convegni, attività, mostre, enogastronomia.

Festa della pecora brigasca – La Brigue (Francia)

La transumanza non è un momento lavorativo semplicissimo: un conto è viverla da spettatore, un altro è essere il proprietario degli animali. I giorni della transumanza vissuti in prima persona me li ricordo lunghissimi, faticosissimi… Bisogna spostare non solo gli animali, ma anche tutto ciò che serve per loro e per le persone che li seguono (sia che si lasci la cascina o i pascoli di fondovalle per l’alpeggio, sia nella situazione opposta), bisogna pensare a mungerli (nel caso di vacche da latte), ad alimentarli (cioè trovare eventualmente dei pascoli in cui sostare), ma anche provvedere al cibo per tutti gli accompagnatori (una “merenda” da consumare lungo il cammino, un pranzo quando si arriva a destinazione)… Poi la transumanza avviene in base alle necessità e alle esigenze del bestiame: difficile fissare una data con mesi di anticipo, si parte in base al foraggio, al meteo, alle temperature. Cosa si fa, se la festa è fissata per fine settembre, ma arriva la neve, oppure c’è ancora erba per rimanere su? Ricordo un caso in cui venne portato del fieno al pastore affinché “resistesse” nonostante la neve, per scendere nel giorno fissato, oppure vacche che partecipano alle sfilate e poi, alla sera, lontano dagli occhi del pubblico, tornano in alpeggio per finire la stagione.

Prendiamo la transumanza di cui vi parlavo l’altro giorno… E’ stata decisa con una settimana di anticipo, giorno più, giorno meno, anticipando di un paio di settimane il giorno ipotizzato. Il tutto è successo perché le pecore si preparavano a partorire, ma i pastori avrebbero fatto lo stesso se le previsioni avessero annunciato maltempo, dato che era necessario valicare un colle ad alta quota. Come vi dicevo, tutta l’accoglienza è stata improvvisata alla veloce, il pubblico era spontaneo, molti sono arrivati in fondovalle sull’onda del passaparola e di video/immagini pubblicate sui social da chi vi stata partecipando (primo fra tutti, uno dei pastori). E’ stata una festa, ma non organizzata, non su un calendario, non “turistica”, però ha riscosso un sincero interesse nella gente del posto (e non solo).

Rientro dall’alpeggio a piedi per le nostre bovine nel 2019 – Petit Fenis, Nus (AO)

Non so se parteciperei volentieri a una festa della transumanza con nostri animali. La prima riposta, d’impeto, sarebbe un: “No, mi spiace.” Per tanti motivi, primo fra tutti la preoccupazione di sfilare con essi in mezzo alla gente. Penso agli incidenti che potrebbero accadere: ho potuto più e più volte vedere come la gente non si renda conto che la “sfilata” degli animali non è equiparabile a quella di personaggi in costume… Gente con passeggini proprio in prima fila, gente con cani al guinzaglio, gente che si sporge o si mette in mezzo per scattare delle foto. Basta così poco perché dei bovini si spingano l’un l’altro o avanzino più velocemente di quanto uno si aspetterebbe… Capre e pecore invece possono spaventarsi, ricordo un caso un cui, durante una di queste feste, il pubblico che tendeva le mani per toccare il vello delle pecore o che restringeva il passaggio degli animali per scattare foto o girare video causò uno “spezzamento” del gregge. Le pecore, impaurite, si bloccarono, rischiando di venire travolte da quelle nelle retrovie. Mancando una guida, un riferimento davanti, non volevano saperne di continuare e i pastori erano o molto più avanti o molto più indietro… La gente non capiva e continuava ad ammassarsi, a spaventarle. Finalmente uno degli aiutanti del pastore riuscì ad arrivare con il cane e mi misi io davanti a chiamare il gregge, così si riuscì a ripartire.

Festa della transumanza a Pont Canavese (TO)

Ho provato a chiedere a chi mi segue su Facebook un parere sulle feste della transumanza. Hanno risposto 337 persone e il risultato è quello che vedete nell’immagine. Il 22% non gradisce tali manifestazioni, mentre il restante 78% ha un’opinione positiva, pur con qualche distinzione. Ciò che ritengo particolarmente interessanti sono i commenti. Molti di coloro che hanno voluto aggiungere delle precisazioni sono allevatori e il loro pensiero è unanime: “Sono bellissime da vedersi e per il luogo che le ospita sicuramente portano gente, ma ne nasce una contraddizione: quel giorno va bene tutto… poi quando scendi con la tua mandria tolleranza zero, e non fai passare abbastanza spesso le macchine, e sporcano la strada e da fastidio addirittura il rumore delle campane! Ti fanno passare la voglia, anche perché il lavoro dietro una désarpa a piedi non è poco…” scrive Enrica e molti altri ribadiscono gli stessi concetti: perché nel giorno della festa sì e due giorni dopo volano parole grosse o si arriva persino a chiamare le forze dell’ordine perché gli animali hanno “sporcato” o brucato qualche foglia di una siepe?

La Dézarpa di Valtournenche (AO)

Interessante la riflessione di Valter: “Ormai in molti amano rappresentare la realtà, in maniera cinematografica, anche quando si vuole portare l’attenzione su realtà difficili , però lo si fa pulendo tutto, nascondendo ciò che è scomodo. La realtà romanzata è meglio della realtà dura e cruda. Adesso tanti mettono insieme la rievocazione di antichi mestieri, per esempio con alpage ouvert . La confusione che si genera è tanta, non se ricordate le polemiche su quella pubblicità del ragazzo che produceva parmigiano e raccontava che lavorava 365 giorni all’anno, nessuno credeva alle sue parole. In pochi conoscono la nostra realtà per davvero.” Condivido questo pensiero, da parte mia non amo l’inserimento di personaggi in abiti d’epoca, genera troppa confusione nel pubblico, che già sa ben poco di quella che è la vita e il lavoro degli alpigiani. Da una parte si crea una visione “romantica”, dall’altra sembra che pure la transumanza sia un relitto del passato. Preferisco vedere giovani che sfilano orgogliosi davanti ai loro animali, fieri del lavoro svolto in alpe, vestiti con jeans, scarponi e camicia a quadri, ma anche con abbigliamento più sportivo, se è quello che usano abitualmente. In alpeggio si è un po’ fuori dal mondo, a volte, ma non così tanto da dover recitare la parte dell’alpigiano burbero con pantaloni di velluto e vecchi scarponi pesanti in cuoio con le stringhe rosse!

Festa della transumanza a Valcanale (BG)

Riporto ancora un commento, quello di Aldo. Pur essendo “del mestiere”, anche lui fa delle differenze non solo tra feste e transumanze tradizionali, ma all’interno di quelli che sono i suoi “colleghi”. “La transumanza, quella vera, è sinonimo di fatica, orgoglio e rispetto, non carnevalate con pseudo cowboy e ragazzini ubriachi che saltano in mezzo alla strada . I Veri Marghe’ fanno poi festa quando le vacche sono tutte nella stalla, solo allora ci si siede a tavola. Ho assistito a transumanze dove ti sentivi a casa, altre dove dovevi portarti persino il mangiare e il bere tu da casa . Margari intelligenti che facevano tappa per far riposare le bestie e altri ignoranti che sfondavano le vacche perché dovevano passare ad una certa ora in paese …! Insomma, ognuno a casa sua fa un po’ quello che vuole e che può ed giusto che sia così . Mi spiace solo che una tradizione che ha origine nella notte dei tempi venga così trasformata in una sorta di carnevalata. Sono favorevole alla transumanza ai fini turistici in modo da far conoscere questa tradizione e avvicinare i bambini e glia adulti a conoscere gli animali.

Transumanza in Val Germanasca (TO)

Molti sottolineano come siano occasioni importanti per far incontrare questo mestiere al pubblico: “…sarebbe utile però far conoscere a chi viene la dura vita in alpeggio dei mesi precedenti“, aggiunge Sergio. Dario preferisce per i propri animali una transumanza più tranquilla: “La facciamo nei prossimi giorni, ma senza fiorellini, senza pubblico. Le vacche e i vitelli non si stressano e noi non dobbiamo fare due carnevali Uno basta. Per il “turista” basta youtube, che non sporca le strade con le cacche.” Enrico, tra i protagonisti della bella transumanza nel Vallone di Champorcher, quando non valicava le montagne partecipava alla Devétéya di Cogne: “L’ho fatta per alcuni anni, ora non la faccio più. Difficile da spiegare e soprattutto da capire, non mi sento al mio posto.

Un momento della transumanza a Champorcher (AO)

Se mi permettete un ultimo pensiero, personalmente preferisco le sfilate degli animali in occasione delle fiere tradizionali, le trovo molto più genuine e inserite nel loro contesto. E’ vero che si tratta di una “nuova formula”, una volta ogni allevatore arrivava quando aveva terminato i lavori in stalla, alla spicciolata, nella mattinata, mentre oggi in occasione di diverse fiere è stato scelto di far convergere tutti gli allevatori in un punto con mandrie e greggi, per poi farli sfilare uno dopo l’altro, con grande impatto visivo sul pubblico. In queste occasioni non c’è lo stress della transumanza, dello spostamento da una sede all’altra, porti solo gli animali che vuoi portare, quello un po’ zoppo, quello prossimo al parto, quello nato da poco lo puoi anche lasciare a casa. Il pubblico sa che è una fiera zootecnica e, forse, capisce un po’ di più il contesto, aspetto che, mescolata tra la folla di diverse “feste” di note località turistiche mi è sembrato essere abbastanza carente.

La sfilata degli allevatori con i loro animali alla fiera dei Santi di Luserna San Giovanni (TO)

Accompagnando la transumanza

Sono giornate di transumanze: anche se il tempo fin troppo caldo si protrae persino in alta quota, è ora di scendere, soprattutto se il foraggio è finito. I protagonisti di questa transumanza avrebbero voluto ritardarla, ma… subito dopo la tosatura, mi dice Enrico: “I montoni hanno fatto qualche scherzetto.” Le pance delle pecore crescono, avere nascite durante la lunga transumanza a piedi sarebbe un impiccio non da poco, soprattutto perché il gregge compie un percorso particolare, che prevede la discesa dall’alpeggio, la risalita in un altro vallone, il passaggio di un colle in alta quota e la definitiva discesa verso il fondovalle. A quel punto vi sono ancora varie tappe da affrontare prima di raggiungere la zona dei pascoli autunnali/invernali. Così, nonostante su al Lauson, ci fosse ancora erba, il gregge inizia la sua transumanza.

Il gregge appena dopo aver raggiunto Chardonney – Champorcher (AO)

Vi avevo già raccontato questa transumanza lo scorso anno, nell’articolo del 2022 trovate tutti i riferimenti per ricostruire la storia dei vari protagonisti. Dopo il primo “eroico” passaggio attraverso il colle, pian piano è cresciuto l’entusiasmo, soprattutto grazie ad alcuni abitanti di Champorcher. Così il gregge, anno dopo anno, sta trovando un’accoglienza sempre più calorosa. Quest’anno a Chardonney c’era davvero tanta gente a salutare gregge e pastori. Riprendo le parole di una delle persone che più si sono spese per dare visibilità alla cosa, Fausta Baudin: “Dopo aver ammirato tutte le magnifiche foto e i filmati che sono stati pubblicati sulla DESARPA DI FEYE (transumanza delle pecore) da Cogne a Champorcher, mi permetto qualche considerazione. Non avrei mai immaginato, nelll’ottobre 2021, quando per la prima volta incontrai Enrico Cavagnet, Davide Ramella Levrin e gli altri pastori con il bellissimo gregge che conducevano verso il Biellese, sulla stesso percorso che da secoli unisce le due comunità di Champorcher e Cogne (dal Medioevo quando già dalla piana del Po arrivavano da noi le greggi fino alle battute di caccia del primo re d’Italia nel 1862), di arrivare a questa terza edizione, sempre più partecipata, quest’anno anche con i piccoli delle scuole (locale e di una scuola belga) . Da allora Aurelio Danna e la sottoscritta, con la partecipazione quest’anno anche della Pro loco di Champorcher, di Gabriella Baudin del Minimarket “da Gabry” e di Maria Angela Danna, che hanno offerto i loro prodotti, abbiamo cercato di offrire una piccola ospitalità ai nostri amici protagonisti della transumanza , e a tutti coloro che hanno voluto condividere questo momento di autenticità. Speriamo di riuscire a ripetere ancora questa bella e autentica esperienza. Al prossimo anno!

Il buffet offerto ai pastori e agli accompagnatori della transumanza – Champorcher (AO)
Gli scolari sono conquistati dagli asini che accompagnano il gregge – Champorcher (AO)

Questa non è stata una “festa della transumanza” come quelle organizzate in altre vallate. Un giorno Enrico Cavagnet, che è in alpeggio insieme a Davide, il pastore, ha scritto sui social, avvisando la popolazione della vallata che sarebbe sceso il gregge il 4 ottobre e chiedendo scusa per l’eventuale disagio arrecato a chi avesse dovuto transitare lungo la strada regionale. Da quel momento le persone citate sopra si sono attivate per diffondere l’avviso e organizzare l’accoglienza ai pastori.

Enrico e il gregge a Champorcher (AO)
Davide e il gregge in una breve sosta durante la discesa – Pontboset (AO)

Ho raggiunto Champorcher in tempo per la discesa del gregge su Chardonney, uomini e animali la sera prima si erano fermati poco più a monte, in un luogo adatto per sostare e far pascolare le pecore. Già salendo lungo la valle in auto si poteva percepire il senso di attesa, c’era già gente che ogni tanto si affacciava, tendendo le orecchie e guardando verso la testata della valle. Come faccio solitamente in questi casi, ho fermato l’auto e sono risalita a piedi fino a Chardonney, poi l’ho spostata ancora, percorrendo tratti con il gregge e altri cercando di anticiparlo.

Don Giuliano Reboulaz osserva la discesa del gregge – Champorcher (AO)

In uno di questi spostamenti ho incontrato Don Giuliano, il parroco di Champorcher (anch’egli allevatore, il suo alpeggio è qui nel Vallone di Saint Barthélemy), che mi ha dato un passaggio, riportandomi verso il gregge. “Vacche e capre mi piacciono, le pecore… ci devi proprio nascere, con la passione per quelle bestie lì“, mi ha confidato. Poi abbiamo parlato della sua transumanza, per la quale c’è ancora tempo.

Uno dei momenti in cui il gregge libera la strada – Champorcher (AO)

Un altro tratto con la transumanza, mentre il caldo aumentava e gli animali boccheggiavano. Si scopre che il punto utilizzato in passato come tappa intermedia non è ancora stato pascolato, così tocca proseguire senza fermarsi, senza pranzo neanche per i pastori. Si cerca solo, dove possibile, di sgomberare per qualche istante la sede stradale, al fine di far defluire il traffico.

Il gregge incontra la Google-car – Vallata di Champorcher (AO)

C’è stato anche un incontro molto particolare, la transumanza infatti ha incrociato il cammino di una Google-car intenta a realizzare riprese (presumo) per un aggiornamento di Streetview. Chissà se quelle immagini verranno utilizzate? Sicuramente c’è molto di simbolico in questo scatto che ritrae due mondi così lontani, che parlano linguaggi sempre più differenti…

Lungo la valle, la gente saluta e ammira il gregge – Valle di Champorcher (AO)

Mentre risalgo la valle nuovamente a piedi, lungo la strada presso i villaggi la gente è ferma in attesa. “Arrivano le pecore?” Mi ha colpito la riflessione di una donna, mentre il gregge stava passando: “Che bello, che silenzio, senti quasi solo il rumore dei loro passi. Non come quando scendono le vacche, con tutte quelle campane… Nei prossimi giorni scende il Piemontese, lì devi proprio tapparti le orecchie dal rumore che fanno tutti quegli animali. Mi piace di più questo.

Un momento della discesa – Valle di Champorcher (AO)

Dal momento che non ci sarà la tappa per pranzo, decido di accompagnare il gregge fino alla sua destinazione di giornata, a Hône. Ci sono ancora diversi chilometri, fa sempre più caldo. Mentre risalgo sopra al paese il sole brucia, mi disseto a una provvidenziale fontana e mangio alcuni piccoli fichi selvatici da una pianta cresciuta su un vecchio muro. I pastori confrontano il caldo di quest’anno con quello della passata stagione. “L’anno scorso faceva anche un gran caldo. Quest’anno per fortuna c’è almeno un po’ di vento. ” “Sembra un po’ più verde…” “Qualche pioggia l’ha fatta. Ma se quest’inverno non nevica come si deve, il prossimo anno possiamo fare a meno di salire. E’ sempre più difficile…

Scendendo verso Pontboset (AO)

Già alla partenza si parlava del tempo e uno dei presenti ricordava come, una ventina di anni prima, proprio agli inizi di ottobre, vi fosse stata un’abbondante nevicata. “Quell’anno lì le pecore erano rimaste bloccate su, c’erano voluti un po’ di giorni prima di riuscire a ritirarle e farle scendere.” Probabilmente parlava del 2005, quando molti dei pastori che seguivo per la realizzazione di “Dove vai pastore?” erano stati sorpresi in alpe dalle nevicate. Sembra incredibile, a distanza di nemmeno vent’anni siamo tutti in canottiera per il gran caldo, le montagne sono brulle, anche se in questa valle un po’ meno riarse rispetto ad altre zone grazie a qualche temporale.

Discesa su Hône (AO)

Finalmente si arriva a Hône, alle spalle del gregge c’è una lunga coda, non è più stato possibile far defluire il traffico nell’ultimo tratto di strada in cui le curve si srotolano a picco sopra il fondovalle. Non mi sarei mai aspettata tanta gente, sembra di essere a una tappa del Giro d’Italia! Alcuni amici mi avevano scritto per informarsi sulla posizione del gregge, sugli orari, ma non ci sono solo loro, decine e decine di persone fanno ala allo scorrere della transumanza.

Il passaggio nel centro di Hône (AO)

Si esce dal paese, c’è ancora un tratto di pianura da fare, finalmente a una rotonda si abbandona l’asfalto e si percorrono le ultime centinaia di metri che conducono a un prato accanto alla Dora. C’è erba, c’è ombra, finalmente ci si può fermare. I pastori tirano le reti per proteggere i prati confinanti, poi finalmente mangeranno anche i pastori. Quella tappa della transumanza è finita, nei giorni successivi il gregge continuerà il suo cammino, fino a raggiungere il Biellese, dove inizierà la stagione di pascolo vagante.

Finalmente a destinazione nei prati a fianco della Dora Hône (AO)

Vent’anni

E’ da un po’ che voglio scrivere questo post… Qualche mese fa un amico ha pubblicato sulla sua bacheca Facebook una riflessione: “Correva l’anno 2003, esattamente 20 anni fa: facevamo i conti con una delle prime estati “calde” del nuovo millennio e io mi apprestavo a vivere una delle più “impegnative” ma anche costruttive estati della mia vita (…)“. Nel 2003-2004 infatti insieme a una manciata di fortunati (o malcapitati, a seconda di come è stata vissuta da ciascuno questa esperienza) ci trovavamo impegnati nel censimento degli alpeggi della Regione Piemonte, in particolare di quelli delle Province di Torino e Cuneo. Il come si arrivò a svolgere quell’attività è un’altra storia, di quelle che ti fanno pensare al destino, alle porte che si aprono e ti conducono a una vita piuttosto che a un’altra… Sicuramente per me quel lavoro, uno tra le tante collaborazioni svolte nei primi anni dopo la laurea, ha gettato le basi per la gran parte del mio futuro, umano e lavorativo.

Diapositiva risalente agli anni del censimento degli alpeggi – Val Germanasca (TO)

A fine giugno-inizi di luglio 2003 quindi mi avviavo a risalire strade, mulattiere, piste e sentieri non per semplici gite, ma per raggiungere gli alpeggi e, soprattutto, chi ci lavorava. Non ho sottomano le immagini di quegli anni perché non avevo ancora una macchina fotografica digitale, quindi scattavo foto e/o diapositive. Ne ho poi acquistata una nel 2005 e molti di quegli scatti li avete potuti vedere in “Vita d’alpeggio”, la mia prima opera dedicata al mondo degli allevatori.

Girando per alpeggi a raccogliere interviste nel 2005 – Valli di Lanzo (TO)

Vent’anni… infatti purtroppo molte delle persone che avevo incontrato non ci sono più. L’ultimo a lasciarci, qualche giorno fa, è stato Andrea Gastaldi, “storico” pastore di pecore roaschine alle pendici del Marguareis, in Valle Pesio. Nel 2004 gli scattai quella “famosa” immagine (Vita d’alpeggio, pag. 244) mentre era intento a preparare la ricotta fuori dal gias (il tipico ricovero dei pastori nelle montagne cuneesi)… Erano gli anni in cui in molti alpeggi non si praticava più la caseificazione perché le normative ASL in materia di igiene si erano fatte più rigide, quindi in molti avevano dovuto smettere per la mancanza di locali idonei (in un alpeggio in affitto, se il proprietario non affronta la spesa per realizzare una casera a norma, spesso l’affittuario non ha alternative). C’era però chi continuava alla “moda vecchia” e, alle nostre domande sulla destinazione dei prodotti, rispondeva “uso famiglia”.

Andrea Gastaldi, pastore recentemente scomparso, nel 2005 – Val Pesio (CN)

Ben vengano i controlli sull’igiene e sulla sanità degli animali (la lotta a patologie trasmissibili all’uomo come tubercolosi e brucellosi è da considerarsi un gran segno di progresso), però resto dell’idea che abbiamo perso qualcosa… sapori, saperi, profumi… Non a caso una pastora in un’altra valle, anche lei famosa per i suoi latticini, soprattutto le ricotte, mi aveva raccontato che, nonostante la mancanza di piastrelle, bollino CEE & C., uno dei suoi clienti fissi era proprio il capo dell’ASL… Sarebbe bello che questo censimento venisse rifatto, temo che il numero degli alpeggi dove si caseifica, soprattutto in certe vallate, sia diminuito ancora di più.

Una di quelle famose ricotte fatte nel paiolo, sul fuoco a legna – 2005, montagne cuneesi

E che dire dei giovani e giovanissimi che avevo incontrato? Molti hanno già messo su famiglia a loro volta, c’è chi continua, chi ha smesso, chi ha preso altre strade. Certi problemi sono ancora lì, sempre uguali, se ne sono aggiunti altri. Il progresso ha portato a comodità un tempo impensabili a quelle quote, ma nello stesso tempo si sono aggiunte complicazioni burocratiche, spese, esigenze e problemi nuovi.

Gruppo di giovanissimi dopo una transumanza in Val Pellice (TO) nel 2005

Il mondo degli alpeggi, in vent’anni, è diventato probabilmente meno “isolato”, di pari passo con un crescente interesse turistico verso il territorio montano. Questo purtroppo ha fatto sì che si creassero anche numerosi contrasti, parallelamente all’aspetto vantaggioso (maggiori possibilità di vendita dei prodotti, integrazione del reddito con eventuali attività di tipo agrituristico, ecc.): pensiamo ai problemi con i cani da guardiania, uno degli argomenti più dibattuti estate dopo estate. Da parte degli allevatori aumentano le lamentele per il mancato rispetto delle recinzioni che delimitano il pascolo, oppure per il comportamento dei cani dei turisti, o ancora per l’immondizia gettata nei pascoli o lungo i sentieri.

Cane da guardiania con il gregge – Val di Rhemes (AO)

Erano i primi anni del ritorno dei predatori (lupo), si erano verificati i primi casi di aste andate alle stelle per aggiudicarsi alpeggi di proprietà pubblica (le speculazioni sui pascoli ebbero inizio con la “truffa dei tori”, vitelloni da ingrasso portati in alpe – a volte anche solo sulla carta – per aggiudicarsi i contributi basati sul numero complessivo dei capi allevati in azienda). Sono passati vent’anni e siamo ancora qui, a parlare piò o meno delle stesse cose.

Alpeggio “vecchio stile” in Valchiusella (TO) nel 2005
Alpeggio ristrutturato con punto vendita (2020) – Valle Po (CN)

Resta solo più la passione a far “funzionare” questo mondo? C’è sicuramente chi resiste grazie a quell’ingrediente, l’unico che ti permette di affrontare orari, fatica, sacrifici che spesso non vengono ripagati adeguatamente a livello economico. Sono in aumento quelli che lo fanno “per soldi”, senza più la cura e la dedizione di un tempo verso il territorio e gli animali. Potreste rinfacciarmi che, con le parole appena scritte, mi sono contraddetta, e invece no, ribadisco quello che ho scritto. Il meccanismo dei contributi, così com’è strutturato attualmente, spesso finisce per favorire i grossi allevatori e non premia i piccoli che lavorano con maggiore attenzione e cura, quindi paradossalmente guadagna di più chi lavora “male” o “meno bene” rispetto a chi ci si dedica con enorme impegno. Anche tra gli allevatori tradizionali infatti c’è chi, per star dietro ai numeri, sta sempre più tralasciando il resto…

Giovani appassionati in alpeggio nel 2020 – Valchiusella (TO)

Vent’anni sono pochi. Nel 1972 usciva uno storico libro intitolato “Lassù gli ultimi”. Quando nel 2006 venne pubblicato il mio “Vita d’Alpeggio” avevo molto più entusiasmo e illusioni rispetto a oggi. Ricordo che, in occasione di un convegno, a Biella incontrai il suo autore, Gianfranco Bini, e discussi con lui del significato di questi “ultimi”. Per me quel mondo era ancora molto vivo, ritenevo quindi che le persone da lui immortalate avessero avuto una discendenza, quindi non era finito nulla. Forse ora comprendo meglio cosa intendesse, quelli erano gli ultimi a vivere così, in cinquant’anni è davvero cambiato quasi tutto, a condurre “quella vita” non resta praticamente più nessuno, i pochi che ci sono ancora li definiamo ora eroi, ora eremiti, quando non li riteniamo addirittura strani, disadattati, con qualche “problema”.

Luoghi dove si vive ancora più o meno come una volta – Val d’Angrogna (TO)

Ciò che non cambia sono le esigenze degli animali, tutto il resto intorno, anche se forse con meno evidenza rispetto ad altri settori, persino nel mondo dell’alpeggio è destinato a evolversi, mutare, trasformarsi. Di preoccupazioni ne ho molte, da vari mesi a questa parte la principale, lo sapete, riguarda soprattutto il clima. Proprio ieri, durante una transumanza, un pastore mi diceva: “Se non dovesse fare l’inverno, se non dovesse nevicare, possiamo fare a meno di salire in montagna, il prossimo anno. L’acqua è sempre più un problema.” E me lo diceva mentre, a inizio ottobre, si discendeva una valle sudando, indossando niente più di una canottiera, con gli animali che, alle nostre spalle, ansimavano e boccheggiavano per le altissime temperature.

Transumanza nella vallata di Champorcher (AO) – 4 ottobre 2023

A passo di pecora nel Nord Est

Oggi vi parlo di un libro… mi è arrivato con tanto di dedica dal Friuli, l’ha scritto un’amica, ma non ve ne parlo solo per questo! Vi invito a leggerlo perché è bello, perché parla di pastorizia nomade, perché a farlo è chi questo mestiere lo vive quotidianamente.

Caterina a Follina (TV) nel 2018

Avevo conosciuto Caterina nel 2018 in Veneto a una manifestazione dedicata alla lana, ne avevo parlato qui. Poi ci siamo “ritrovate” quasi per caso, un paio di anni fa mi ha scritto un’e-mail, cercava un’aiutante per la stagione in malga. Siamo passate ai messaggi, alle telefonate e… beh, l’amicizia è stata una cosa spontanea, nonostante la distanza era chiaro che avessimo molto in comune! Un giorno mi ha detto che anche lei stava scrivendo un libro, ma il suo è autobiografico, a differenza del mio romanzo. Proprio leggendo “L’ora del pastore” Caterina ha trovato uno spunto per il titolo della sua opera e… ecco a voi “A passo di pecora. Il viaggio di una pastora transumante”.

Mi ci sono immersa e l’ho divorato mentre ero al pascolo con le capre. L’ho seguita sulle strade della sua transumanza, mentre mi coglieva un misto di nostalgia e di voglia di vedere quei luoghi che lei descrive, simili, ma diversi dai pascoli dei pastori dell’Ovest delle Alpi. Mi sono ritrovata in mille situazioni, ridendo nel leggere alcuni passi, come quello in cui descrive le padrone “buone” o “cattive” che sanno come difendere i loro fiori dal passaggio del gregge o che insultano e minacciano chi accompagna il gregge. “Dopo anni di transumanze so a memoria tutti i giardini, le aiuole, i vasi di fiori con annesso carattere dei proprietari da Vivaro a Cortina d’Ampezzo.

Nel suo cammino Caterina incontra inevitabilmente tanta gente con cui parla, suona, canta, beve un bicchiere di rosso o una birra, mangia una fetta di salame “spessa un centimetro e mezzo” o di cui ascolta i racconti. “Quando un vecchio racconta, bisogna ascoltare.” Le voci dei suoi amici si fondono con la sua narrazione, il dialetto non è un ostacolo (ci sono comunque le traduzioni), aiuta piuttosto a visualizzare meglio alcune scene, soprattutto quelle in cui Caterina si arrabbia e parla in quello che lei chiama “l’esperanto dei dialetti”, sicuramente una lingua universale per esprimere al meglio certi concetti in determinate situazioni. Leggendo era come stare lì con lei a rispondere agli animalisti che la insultavano, oppure a cercare di far camminare l’asina ribelle che si era allontanata dal gregge in un momento particolarmente delicato della transumanza. Per non parlare dell’ansia di dover guidare il gregge senza essere ben sicuri di dove andare, solo con delle vaghe indicazioni date da quello che lei chiama il “pastore Serafino”! Quanti ricordi mi ha evocato la lettura di quelle pagine… Altri scenari, ma situazioni molto simili!

Ci sono anche momenti molto seri, come i capitoli in cui Caterina parla delle speculazioni sui pascoli e della brutta esperienza vissuta in prima persona. Momenti in cui si ascolta con un velo di tristezza il ricordo di amici conosciuti lungo il cammino che oggi non ci sono più, ma che hanno lasciato tanti ricordi lieti.

Con Caterina abbiamo un sogno, quello di trovare la giusta sede, il momento ideale e l’occasione adatta per una presentazione congiunta dei nostri due libri. Sarebbe bello poterne fare una qui a ovest… e una di là a est. Ne uscirebbe sicuramente qualcosa di molto bello, anche perché Caterina, oltre a essere una pastora, lavora anche la lana delle sue pecore, suona, conosce le erbe… Da parte mia, vi prometto che cercherò di fare il possibile perché questa occasione di incontro possa realizzarsi. Intanto… buona lettura di “A passo di pecora”, ediciclo editore, Autrice Caterina De Boni.

Dove non indicato diversamente, le immagini sono di C. De Boni, tratte dalla sua pagina FB