I confini della realtà si mescolano con il mondo virtuale (e viceversa) per sempre più persone. Una mia amica l’altro giorno diceva che, per fortuna, tornando ad un minimo di vita sociale ha ripreso fiducia nell’umanità, perché solo a leggere post e commenti sui social le sembrava che il mondo stesse davvero andando a rotoli. Io non ne sono troppo sicura. Dietro ad uno schermo molte persone non si fanno problemi ad esternare idee e pensieri offensivi, estremi e fuori luogo, ma anche certi atteggiamenti nella vita quotidiana non sembrano essere esempi di correttezza e rispetto del prossimo.
Mi avete spesso sentita parlare di comportamenti deplorevoli da parte dei turisti in alpeggio, ma non sono solo i montanari a lagnarsi per ciò che accade tra pascoli, baite e sentieri alpini. Chiunque abita e lavora in ambito rurale lamenta a gran voce episodi in cui il “visitatore” arreca danno o disturbo alle attività, alle coltivazioni, alle strutture, agli animali, ecc…
“(…)è moralmente etico permettere agli Instagrammers di schiacciare i cereali seminati nei nostri terreni, per farsi le foto? Non è colpa loro, è colpa nostra perché se vado a farmi un bagno in Fonte Gaia scatta l’indignazione comune mentre se vediamo distese di grano sdraiate da dolci donzelle che si addentrano negli appezzamenti con improbabili strascichi, mettiamo pure un like.” Così rifletteva qualche giorno fa Alessia, titolare di un’azienda agricola in Toscana. E quante ne abbiamo viste, di queste foto… tra papaveri, grano, fiordalisi, lavanda…
Sono la prima a sostenere da sempre che un paesaggio rurale di un certo tipo (ben curato, vario, pascolato, con alternanza di campi e siepi, ecc…) sia un elemento fondamentale non solo per la biodiversità, ma anche per le valenze di richiamo turistico che contiene. In fondo è il classico paesaggio italiano da cartolina a cui pensa ciascuno di noi se gli viene detto di descrivere un’immagine dell’Italia, escludendo le città. Però questo non vuol dire entrare dentro a quella cartolina! Una bella foto la possiamo fare lo stesso anche senza coricarci nel grano, no?
Eppure per tanti, una volta usciti da asfalto e cemento, tutto ciò che si incontra è un parco giochi senza biglietto (o quasi). Provate a dire ad un escursionista che potrebbe dover tornare sui suoi passi perché in quella zona c’è un gregge con dei cani da guardiania e non è detto che riesca a passare, specialmente se è accompagnato da due o tre cani da compagnia… “La montagna è di tutti, c’è un sentiero, io ho diritto di passare liberamente, è l’allevatore che deve tenere legati i suoi cani…“. Quante volte ho sentito una delle innumerevoli varianti sul tema, che si trattasse dei cani, delle reti, dei fili elettrificati del recinto, delle campane al collo degli animali al pascolo che “disturbano”.
Facciamo un passo indietro. Innanzitutto occorre dire che tutti noi, ovunque ci troviamo, siamo ospiti e, di conseguenza, dovremmo comportarci come tali. In un ambiente fortemente antropizzato è difficile pensarci, ma anche una città un tempo era prati, boschi, fiumi… Comunque anche la città ha le sue regole da rispettare, non andiamo a farci il bagno in una fontana al centro di una piazza, non montiamo il tavolino da pic nic davanti ad una chiesa. In un ambiente rurale, a qualunque quota, sia l’agricoltore/allevatore, sia il visitatore sono ospiti di un territorio, della sua flora e della sua fauna, quindi dovrebbero rispettarla. Ahimè ciò non sempre succede, l’impatto dell’uomo e delle sue attività spesso arrecano danni anche gravissimi. Ma questo non deve essere una giustificazione per nessuno. Se qualcuno sbaglia, gli altri devono cercare di fare meglio, non peggio, no? Così il visitatore di una realtà rurale dovrebbe rendersi conto di essere due volte ospite: della natura e dei “padroni di casa”. Un contadino, un allevatore, sono proprietari o affittuari di campi, prati, pascoli, frutteti, dove svolgono le loro attività lavorative. Non sono presenti SEMPRE in ogni luogo, perché il mestiere ha una sua stagionalità, i suoi ritmi, i suoi orari. Non è una fabbrica che apre e chiude i cancelli. Ma questo non giustifica ogni tipo di comportamento in assenza di chi manda avanti un’attività in questi territori.
L’altro giorno ho visto una foto on-line che ritraeva una persona (e non mi sembrava un allevatore) seguito da 5-6 capre. Era stata scattata da queste parti e la cosa mi aveva incuriosita. Il giorno dopo ricevo la telefonata di un’allevatrice che mi chiedeva aiuto, se potevo scrivere due righe su Facebook per aiutarla a ritrovare due capretti che non erano rientrati all’alpeggio. Sono saliti da poco in montagna, è il primo anno per loro in quell’alpe, gli animali ancora non conoscono il territorio… Ma il punto era un altro: “Eravamo rientrati dal pascolo, stavamo legando le vacche, le capre erano fuori, le avremmo messe dentro una volta finito. Ma quando siamo usciti, non c’erano più, avevano seguito della gente che era passata davanti all’alpeggio. La capra più vecchia è tornata la sera per farsi mungere, le altre tre sono arrivate stamattina in un alpeggio vicino, ma mancano i due capretti… Oltretutto sono dei bimbi, glieli abbiamo regalati per la promozione. Abbiamo sentito il gestore del rifugio e ci ha detto che sono arrivati fin su seguendo dei ragazzi… “
Succede che degli animali seguano le persone. Se lo fa una vacca, in genere ci si spaventa e si cerca di scacciarla. Ma che bella scenetta, ma che simpatia, che divertimento se lo fa un cagnolino o delle caprette! Che ne sa ormai la gente del comportamento degli animali? Se ne abbiamo di domestici, il più delle volte li abbiamo umanizzati e plasmati sulla nostra vita, sulle nostre esigenze. Non sappiamo nemmeno quale sarebbe il loro comportamento naturale… Figuriamoci se abbiamo di fronte una capra o una pecora! Ma sì, quei turisti magari si saranno fatti anche il video, seguiti dal piccolo gregge…
Attenzione, non stiamo parlando di animali incustoditi al pascolo (cioè liberi, senza la sorveglianza di un pastore, cosa che peraltro accade sempre più di rado, vista la crescente presenza di predatori), ma di animali che erano vicini all’alpeggio. Non pretendo che l’escursionista sappia che, in Valle d’Aosta, verso le 11-11:30 le vacche vengono fatte rientrare in stalla e legate ciascuna al suo posto e tutte le ulteriori dinamiche di vita d’alpeggio. Ma è universalmente valido che si debba evitare di “spostare” animali, farsi seguire o accompagnare altrove. Bisognerebbe in generale evitare il contatto con gli animali domestici (a meno che vi sia l’allevatore che vi consente di farlo), potrebbero esserci dei rischi per voi e per loro. Quindi, la regola generale che mi sento di dare e che, se uno o più animali vi seguono, cercate in ogni modo (battendo le mani, facendo versi, senza ovviamente usare bastoni o pietre) di allontanarli. Questo vale a maggior ragione nei pressi di baite, cascine, case!
Tornando ai capretti, grazie alle informazioni di chi aveva scattato le immagini (un’escursionista che poi ha cercato di riportare indietro il piccolo gregge) e al passaparola, altri allevatori hanno sentito le campanelle e li hanno individuati. Questa volta così c’è stato il lieto fine, ma poteva andare molto peggio, soprattutto se avessero incontrato un predatore. La vicenda però è andata meno bene a livello di comunicazione, perché un mio post su Facebook che cercava di spiegare (in sintesi) ciò che vi sto dicendo qui, ha scatenato i polemici da tastiera, con innumerevoli persone che affermavano come la colpa fosse dell’allevatore che lascia le sue bestie abbandonate. “Non credo che il turista o chiunque passi accanto a delle capre sia responsabile, se viene inseguito, il responsabile delle capre è il proprietario“, per citare uno dei commenti più pacati.
Già, perché la montagna è di tutti, no? Se succede qualcosa però la colpa è sempre tua… Sei tu che devi fare in modo che gli animali non causino problemi ai turisti (e il viceversa??), per non parlare poi di casi più gravi, sempre in ambito agricolo. C’è stato un incidente alquanto strano in un campo, qualche giorno fa. Sono morte due donne, il perché si trovassero in mezzo al mais non si è capito. Cito nuovamente l’amica Alessia, che esprime alla perfezione i pensieri che tanti di noi hanno elaborato in seguito a quel triste fatto. “Qui si sta completamente travisando il concetto, non solo di campagna e ambiente, ma soprattutto quello di azienda agricola. Un campo coltivato è assimilabile ad un cantiere con la differenza che non si possono recintare ettari e ettari di rete da cantieri apponendo la relativa cartellonistica. Mi ricordo che anni fa, un agricoltore di Asciano manca poco non “ miete” un cacciatore nascosto in campo di girasoli aspettando le tortore e di un altro che per un pelo, mentre tagliava il fieno, non investe un fotografo naturalista. L’anno scorso, in un podere qui vicino, due o tre persone adulte, sono salite sui balloni di paglia cercando di farli rotolare. E se si fanno male? E se i balloni prendono la rincorsa e finiscono sulla strada? Bisogna urgentemente che la popolazione ritorni a conoscere la campagna e i suoi pericoli, prima che sia troppo tardi.“
Già… perché per l’appunto la campagna, la montagna, pur essendo luoghi di lavoro, non sono recintati. Inoltre sono considerati dai più un luogo di svago, il famoso parco giochi di cui si parlava. Così c’è quello che si diverte a saltare sulle rotoballe, quello che si arrampica sul tetto della vecchia baita, quello che si inventa non so quale svago con i tuoi attrezzi da lavoro che ha trovato nella tua proprietà. “Il problema è che non esiste più il concetto di proprietà privata…. ognuno è legittimato in presenza di un prato più o meno seminato o recintato, in presenza di un gregge di pecore o di una mandria di vacche di fare ciò che meglio crede… portare il cane libero di fare la qualsiasi, attraversare bellamente non rendendosi conto che magari ci sono dei vitellini e che le madri sono gelose. I problemi sono i tuoi che tieni i cani per protezione dai lupi, sei tu che a casa tua devi proteggere chi ci entra“, commenta Massimo. Aggiungo io… che ci entra senza rendersi conto che è in una proprietà privata e un ambiente di lavoro.
Ma quando andate al mare, perché non ragionate nello stesso modo? Perché la montagna è di tutti e il mare può essere diviso in box a pagamento, con la parte pubblica ben delimitata? Sono stata a Genova qualche giorno fa. Certo, non è la classica spiaggia a cui uno pensa quando si parla di mare, ma comunque… centinaia e centinaia di metri recintati per gli stabilimenti balneari, qualche fazzoletto di spiaggia libera. A nessuno verrebbe in mente di arrivare a nuoto in uno stabilimento privato, uscire sulla spiaggia, accomodarsi su una sedia a sdraio. Eppure in alpeggio mi è successo di vedere gente che si serviva di oggetti di uso privato (bicchieri, sedie) degli allevatori. Una volta mi sono ritrovata un tale nella baita. “Cercava qualcuno?” “No, no. Guardavo soltanto.” Altro che parco giochi…
PS: Per prevenire certi commenti… non sto giustificando universalmente la categoria, che si tratti di allevatori o di contadini. Comportamenti errati ve ne sono da parte di tutti. L’appello è sempre e comunque al reciproco rispetto, ma soprattutto invito le persone a documentarsi sulla realtà che andranno a visitare (e i comuni di montagna, gli enti turismo, a fare comunicazione in merito). Certamente devono tenere comportamenti adeguati gli allevatori: un cane da lavoro deve stare vicino al pastore e assolutamente non deve allontanarsi per andare a mordere i turisti di passaggio, ma un cane da guardiania ha un altro ruolo e occupa altri spazi, il turista è tenuto a documentarsi, a leggere la cartellonistica (questo è solo uno dei tanti esempi che potrei fare). Così come non ce ne andremmo a spasso liberamente all’interno di uno stabilimento industriale (solo perché “non è bello” o anche perché sappiamo che è pericoloso, c’è gente che lavora e macchinari all’opera?), lo stesso dovremmo fare in campagna, in collina, in montagna. Dobbiamo renderci conto che sono ANCHE luoghi di svago, non SOLO un parco divertimenti.